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L’acqua san Giacomo

L’acqua della Madonna e l’acqua denominata di San Giacomo non erano le sole apprezzate sin dall’antichità per la freschezza e la leggerezza. A Quisisana ve n’era anche un’altra. Era chiamata acqua di san Bartolomeo e proveniva da monte Coppola. Il re la fece canalizzare per approvvigionare il Palazzo reale, una sua ramificazione fu “accordata” al convento di suore di San Bartolomeo quando era ancora situato alla Sanità.

Lo storico stabiese Catello Parisi, nel 1842 in “Cenno storico descrittivo della città di Castellammare di Stabia”, così descriveva l’acqua di San Giacomo: ”a pochi passi dall’omonima chiesa : in sotterraneo sito sorge nei dintorni del luogo Madonna della Sanità detto, e per un ampio condotto di antichissima epoca n’è portata la sua poca quantità nella piccola fontana a due bocche prossima alla chiesa di San Giacomo nella strada di Quisisana… Nel luogo ove sorge fu rinvenuta una gran lamina di piombo sulla quale vedevasi dalle pareti della sotterranea volta gocciolare quest’acqua, locchè ne prova la sua antichità. Essa è fra le potabili la migliore – salutevole – ed accreditata”. Purtroppo nel corso dei secoli questa fonte, già menzionata in documenti cinquecenteschi, si è prosciugata diverse volte. La lapide posta sul frontespizio della fontana, ricorda che nel 1817, il patrizio stabiese Francesco Longobardi, allora sindaco di Castellammare di Stabia, ebbe il merito di ritrovarla e renderla fruibile nuovamente:

AQVAM DEPERDITAM FONTEMQUE EXICCATVM
FRANCISCVS LONGOBARDVS PATRICIVS STABIANVS
CIVITATIS PRAEFECTVS INVENIENDAM EXCVRRENDVMQVE
CVRAVIT A.D. MDCCCXVII (Pasc Coppola Arch)

A pochi passi dalla chiesa, qualche anno dopo, precisamente tra il 1828 ed il 1829 su richiesta dello stabiese Catello Gambardella fu costruito il Real Teatro Francesco I, dopo varie vicissitudini nel febbraio del 1922 fu acquistato dal sig. Perna Raffaele che vi edificò l’attuale palazzo… dell’antico teatro non rimane che … un ricordo sbiadito. Della zona e della fontana san Giacomo ne fece una bella descrizione lo stabiese Michele Salvati, fu pubblicata nel 1907 sulla Rivista popolare illustrata Il secolo XX vol VI : “Da Castellammare si ascende ai poggi di Quisisana per una strada tutta a rampe di gran pendio, interamente coverte dal pomposo fogliame dei vetusti alberi che lateralmente s’ inseguono e intrecciando i loro rami formano tanti vasti padiglioni. I raggi solari, intercettati da tale espansione vegetale, a stento vi penetrano, disegnando sul suolo con rari sprazzi di viva luce strane figure e dando un risalto speciale a qualche muro cadente, ad una fontana, ad una cantonata slabbrata.
Alla prima rampa a mano destra richiama l’attenzione del viandante una fontana detta di San Giacomo. Intorno ad essa trovansi sempre raccolte un certo numero di donne e ragazze per attingere l’acqua prelibata che vien fuori con getto assai magro, e che vanta la rinomanza d’essere stata preferita da Ferdinando II, anche quando dimorava nella reggia di Caserta. Queste donne, dagli abiti a colori vivaci, che, con invettive tutte proprie del popolino, si azzuffano per la precedenza nell’attingere, e che spesso finiscono quella ressa con la reciproca rottura dei vasi di vetro o terracotta destinati alla bisogna, formano un gruppo artisticamente bello, caratteristico soggetto per molti pittori.
Pur notevoli in altri tempi eran gli asinelli che ansimanti montavano queste rampe incitati dalla voce insistente dell’asinaro (ciucciaro) che vestiva in un modo assai caratteristico, poiché indossava un camiciotto alla marinara, per lo più a righe rosse e bianche, calzoni candidissimi, con fazzoletto di seta annodato al collo dalle ali svolazzanti, in capo una ampia paglia con nastro, e una verga in mano con cui assestava ogni tanto qualche colpo sul dorso della sua bestia. E i pazienti animali, inforcati dal cavaliere o da una timida dama, ogni tanto si vendicavano di tutta quella nobile gente che dovevano menare dalle ville alle città e viceversa, con certi ragli in concerto corale da straziare le orecchie ad un sordo. Asini ed asinai eran sempre pronti al principio di queste rampe per accerchiare il forestiere che, se non aveva voglia di servirsi della cavalcatura, durava a gran fatica per uscire da quel labirinto asinesco e sottrarsi alla petulante insistenza dei ciucciari. Ma il gran soffio del progresso è passato anche su Castellammare, distruggendo tanti vecchi costumi e tanti tipi caratteristici che formavano la vera anima e la vera poesia della città.”

A cura di Giuseppe Plaitano

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