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Il chiosco dell’Arco di San Catello

L’ acquaiuolo è il termine che storicamente veniva assegnato al venditore ambulante di acqua, a Castellammare poi la scelta, per i diversi tipi di acque, era ovviamente variegata. Gli acquaiuoli erano apprezzatissimi soprattutto d’estate, avevano il compito di “rinfrescare” la popolazione dall’arsura e dal calore in epoche in cui non c’erano le moderne soluzioni tecnologiche. Già nell’Ottocento, ma forse anche prima era consueto veder girare per le strade, (non solo nella nostra cittadina), questi ambulanti con i loro carretti pieni di damigianelle impagliate, anfore o “mummare” piene di acqua. Gli acquafrescai si riconoscevano per la voce che segnalava la loro presenza alle persone del quartiere che, direttamente dalla finestra o dal balcone di casa, abbassavano “’o panaro” con un fiasco da riempire con l’acqua desiderata (ferrata, acidula, d’a Madonna, sulfurea…) a seconda anche dell’occorrenza…e le monete per pagare. Una delle voci che si soleva ascoltare era la classica: “Acqua fresca chi vò vevere”.
Anche Raffaele Viviani dedicò una canzone all’acquaiuolo (da lui portato in scena), inserita nel testo teatrale del 1917 Il vicolo:

“…Neh, che bell’acqua fresca!”
Pe’ chesta capa sciacqua
aggio perduta ‘a mummera!
“Che bell’acqua!”
“Neh, ma pruvatela, ch’è fresca”

L’acquaiolo ambulante rimase un mestiere “presente” in città e questo fino al 1973, anno in cui scoppiò la terribile epidemia di colera. Un modo di dire che ancora oggi si sente e che fa riferimento agli acquafrescai è il famoso: “Acquaio’, l’acqua è fresca? Manco ‘a neve!”.
Questo scambio di battute tra un acquaiolo e un eventuale acquirente è diventato un modo di dire che invita le persone a non fare domande retoriche e a diffidare dalle informazioni fornite dai diretti interessati soprattutto alle vendite. Il chiosco dell’acqua fresca, era invece una sorta di traguardo sociale: una garanzia di posto fisso per l’acquaiolo e per tutta la sua famiglia. Addirittura in qualche lascito c’erano vere e proprie “scomuniche” nei confronti degli eredi in caso di vendita del chiosco. Uno degli ultimi chioschi a chiudere i battenti, nel 2006, a Castellammare fu quello di via Principessa Mafalda gestito da Vincenzo Esposito e sua moglie Amelia. Ma oggi voglio ricordare quello che era posto alle spalle dell’Arco di San Catello (vedi schizzo del pittore Asturi). Notizie relative a questo chiosco, anch’esso scomparso anche dalla memoria sono riportate in un atto di vendita del dicembre del 1953 stilato nello studio notarile di Catello Spagnuolo, all’epoca ubicato alla via Denza,21:
“ Costituiti da una parte la sig.ra Esposito vedova di Capua, proprietaria, dall’altra i sigg.ri Somma Ciro e Di Capua Vincenzo, acquirenti.”
La signora trasferiva ai nuovi proprietari: “numero dieci damigiane di varie grandezze, quattro bottiglioni, uno spremilimoni a mano sei bicchieri di vetro e venti bottiglie”.
Il prezzo convenuto, tenuto conto dello stato in cui versava il chiosco e dall’esiguità degli attrezzi di esercizio fu convenuto in lire ventimila. Il chiosco si trovava accatastato con la seguente dizione: “Villa Comunale, chiosco in ferro”.
La signora dichiarava che il chiosco era pervenuto al defunto marito con atto del notaio Rega del 10 settembre 1925. Asserendo altresì che il chiosco in Villa a seguito di ordinanza municipale venne trasferito nella sede attuale di via Traversa Arco di San Catello. Sarebbe antiquato assistere alla riapertura di uno di questi chioschi nella città ancora ricordata come “ Citta delle acque”?.

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