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C’erano una volta i melloni di Castellammare

Michele Torcia, segretario del plenipotenziario napoletano in Olanda, nel 1783 scrisse un “Appendice contenente una breve difesa della nostra nazione contro le incolpe attribuitele da alcuni scrittori esteri” in cui attacca le guide di viaggio estere relative a Napoli. Questo uno stralcio in cui “esalta”, oltre le glorie e le bellezze, anche i prodotti della terra tra cui i meloni di Castellammare: “Ma ci credete voi già in collera contro di voi? Ohibò! Tornate, se potete, noi vi riceveremo come fratelli… i vini di Gragnano e di Capri, gli olii di Massa e di Prajano, gli agrumi di Vico e Majuri, i meloni e le verdure di Castellammare…”

Agli inizi dell’Ottocento Raffaele Liberatore in “Viaggio pittorico nel Regno delle due Sicilie” scriveva che a Castellammare “v’era di frutta squisite cocomeri specialmente”.


Nel 1835 Alessandro Dumas padre, nel Corricolo raccontava sulla loro provenienza e commercio: “I bei cocomeri vengono da Castellammare; hanno un aspetto giocondo e appetitoso nello stesso tempo; sotto la loro verde corteccia, offrono una carne in cui i semi fanno più risaltare il rosa vivo. Ma un buon cocomero costa caro… vero è che un cocomero di siffatta grandezza, sotto le mani di un abile scalco, può dividersi in mille e più pezzi. E ad ogni apertura di un nuovo cocomero è una nuova rappresentazione…”


Siamo nel 1845 e Francesco Alvino in “Viaggio da Napoli a Castellammare”, scrive, a proposito dell’agricoltura stabiese: “La qualità del suolo in Castellammare è di natura argillosa mista a sabbia vulcanica… Sono molto in pregio le sue frutte e specialmente le pere, le pesche, le susine, le uve, i fichi e i cocomeri”.


I melloni si offrivano in vendita, su banchi soprattutto nei posti piú frequentati della strada della marina e del porto; ma la Fontana Grande doveva essere uno dei luoghi piú adatti per tenerli facilmente in fresco, tant’è che una nota incisione, è denominata proprio Fontana de’ Meloni in Castellamare.

Sempre di quegli anni, 1844, troviamo su “Passeggiata per Napoli e contorni” di Emanuele Bidera, un capitolo molto “pittoresco” intitolato “I mellonari”: “Quelle botteghe che l’inverno servono per magazzini di castagne, nell’inverno divengono conserve di cocomeri, dei quali più famosi sono quelli di Castellammare. Nascono fra i venditori delle gare incredibili… Stanno nel gran mercato i cocomeri accatastati, guardati la notte dai garzoni che dormono come gli Arabi sotto una tenda. Ma una scena caratteristica e tutta comica ti si offre, là sul Molo tra due venditori, che con le loro banche stanno vicini … per invitare la gentaglia cominciano a gridare con voce stentorea: Castiellammare ! Che meraviglia!.. So de Castiellammare! A cui contropone l’altro: Mo so benute da la rotta della neve, e so de fuoco! E ciascuno scinde in mezzo un nuovo mellone e battono esageratamente i loro coltellacci sui banconi e come se avessero trovato un tesoro, esclamano per meraviglia: Oh! Oh! Che bellezza!!! Che roba! Che robba è chesta? È no sole che mo esce? L’antagonista afferra dall’una e l’altra mano il suo diviso mellone, e facendo croce delle braccia lo mostra al popolaccio gridando da disperato: Cca stanno li mellune veraci, chisse Iloco è la luna, lo vero sole veditelo ccà. Otto ranelle tutto, quatta ranelle miezo, e chi lo magna ccà purzì tre grana. Giá è accesa la gara: un piccolo lazzarone porta sul capo un mellone: il venditore sulla testa di lui lo spacca a metà con quella pericolosa abilità e destrezza con la quale Guglielmo Tell feri su la testa del figlio il pomo che diede libertà alla Svizzera… Fuoco? Fuoco! E l’avversario che non si dá per vinto urla più forte: Vesuvio! Vesuvio! Sembrerebbe che non vi potesse essere altra più esagerata espressione; e pure il Victor Hugo dei lazzaroni la trova, e supera l’ampollosità del rivale gridando: È lu nfierno cu tutti li diavoli ! Poi volto al collega: Vidimmo mó che ce hai da dicere cchiù. Intanto tutta la razza lazzarona schiamazza, mangia, gode, ride e si aggomitola a quelle due tribune…”.


Per concludere questo breve excursus la scrittrice Cesira Pozzolini Siciliani che in “Napoli e dintorni” nel 1879, così descriveva la strada marina: “… La strada della marina è tutta costeggiata da un viale, e lí che distesa di melloni d’acqua… Ma que’ cocomeri tagliati, a metà e ben disposti in linea su quei carretti, come son rossi!…. Costano pochi centesimi e nell’estate la povera gente che vive di melloni, è solita dire: Cu nu rano magno, vevo e me lavo la faccia…”

A cura di Giuseppe Plaitano

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