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GIUSEPPE BONITO

Giuseppe Bonito nacque a Castellammare il 1° novembre del 1707 da Saverio Domenico e da Anastasia Grosso. Fu battezzato il giorno seguente nella Cattedrale. Terzogenito di ben 12 figli, il padre, notate le precoci manifestazioni artistiche del giovane e date le disagiate condizioni economiche determinate dalla numerosa prole, fu costretto ad inviarlo a Napoli con la speranza che il figliuolo sfruttando le proprie attinenze artistiche avesse potuto guadagnare il pane con quell’arte che allora era di gran moda e anche molto redditizia. Sbalzato così tutto d’un tratto, dal modesto ambiente della casa materna (della sua città d’origine) nel vortice della grande città, fra gente nuova e visi sconosciuti, nel suo animo dovette rimanere assai triste e sconcertato. Come maestro del Bonito si fa nome soltanto del Solimena e poco si sa dei suoi primi anni di soggiorno a Napoli, permanenza la sua, certamente difficile e non tanto lieta se si pensa che Giuseppe dovette alloggiare nelle ristrette pareti di qualche modesta stanzetta mobiliata a pochi carlini al mese, ove la padrona di casa faceva nel medesimo tempo da domestica e da cuoca. Per forze di cose, dovette concentrarsi nello studio, dove sin da subito, si distinse per tenacia e volontà, per prontezza d’ingegno, per sveltezza nel capire ed imparare tutti i segreti della difficile tecnica pittorica. Il maestro prese a volergli bene ed a proteggerlo ed i compagni lo chiamarono con un grazioso diminutivo “Peppariello di Castellammare”. Il Bonito aveva 23 anni quando per i chierici regolari di S. M. Maggiore (detta la Pietra Santa), ebbe il suo primissimo impegno lavorativo, eseguendo: “L’angelo custode” e “L’ Angelo Raffaele”, due quadri che seppur non esprimono la sua parte migliore gli furono di gran giovamento, perché lo fecero conoscere al pubblico, aprendogli nuovi orizzonti. Era il tempo in cui, essendo ancora del tutto sconosciuta la fotografia, i ritratti costituivano una necessità ed un bene di lusso. Fu questo il secondo genere di pittura in cui esordì il Bonito con onore. Quando Carlo III nel 1737 diede incarico di costruire il San Carlo in sostituzione del vecchio teatro San Bartolomeo, il Carasale, impresario dell’epoca vendette tutta l’attrezzatura del vecchio teatro ed ottenne d’innalzare nell’area dell’antica platea una chiesa, sorse così l’attuale chiesa di San Bartolomeo (o anche di Santa Maria Graziella, una delle chiese monumentali ubicata in via San Bartolomeo, nella zona di Rua Catalana), che il Bonito ebbe incarico di onorare di quadri. In detta chiesa dipinse con sacralità: “La vergine della Mercede” e “La Vergine che appare a San Carlo Borromeo”, ma il Bonito per la sua stessa natura voleva attingere in immediato contatto la realtà della vita, riportandola così com’era, senza falsità ed esagerazioni. Parve così al Bonito di essersi imbattuto nella sua strada, infatti giammai vi fu più diretta corrispondenza tra l’indole dell’artista ed il gusto del popolo. Così la fama del Bonito, mentre si allargava tra il popolo saliva alle sfere della corte. Nel 1741 venne a Napoli l’inviato del Sultano Mahmud I Hagi Hussein Effendi. Le onorificenze che gli fecero come disse il Croce, furono eccessive, ad ogni buon conto Carlo III, entusiasmato della figura simpatica di questo ambasciatore ne volle conservare il ritratto e fu chiamato Giuseppe Bonito per eseguirlo. Chi visita il Palazzo Reale di Napoli, nelle sale dell’appartamento di rappresentanza, osserverà due grandi tele che lo colpiranno subito per la loro originalità, che raffigurano l’ambasciatore del Re di Turchia e il re di Tripoli Moustafà. Al 24 luglio del 1755 risale la nomina a direttore d’Accademia del disegno e nudo, carica che coinvolse il Bonito nelle gelosie di corte a causa della venuta a Napoli di Raffaello Mengs con l’incarico di compilare una nuova riforma dell’Accademia Napoletana. Una delle sue ultime opere, L’Immacolata Concezione del 1789, fu dipinta da Bonito per la Cappella Palatina della Reggia di Caserta. Nei suoi ultimi anni dipinse cinque tele per l’abside della chiesa dell’Annunciata a Vico Equense: Presentazione al Tempio, Sposalizio della Vergine, Natività, Circoncisione e, al centro, l’Annunciazione, firmata e datata 1788. L’anno dopo egli fu nominato cavaliere di grazia dell’Ordine costantiniano di S. Giorgio; morì a Napoli il 19 maggio dello stesso 1789. Giuseppe Bonito aveva un fratello più giovane, Michele, nato nel 1727 ( che si sposò nel 1765 con Geltrude Portanova). Michele visse con il fratello, che aiutava anche nel suo lavoro . Alla morte del fratello cercò invano di vendere alcune sue opere al re di Napoli. Molti dei quadri lasciati dal fratello, furono poi all’origine di dispute tra gli eredi. Michele morì anch’egli a Napoli nel 1790.

A cura di Giuseppe Plaitano

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