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La ittiofauna stabiese

Il territorio di Castellammare non ha da offrire solo reperti archeologici, ma anche paleontologici. Prima del 13 marzo 1832, anno in cui Ferdinando II di Borbone ordinava la realizzazione di una” strada rotabile da Castellammare a Sorrento” per andare in penisola si adoperavano barche (gozzi) o muli percorrendo una strada montana “della sperlunga” che pare fosse stata fatta costruire da Alfonso d’Aragona. Antecedentemente a quella data all’altezza di Pozzano erano state aperte diverse grandi cave per l’estrazione del materiale calcareo. La zona era conosciuta come “Capo o Torre d’Orlando” (località dove oggi sono situati gli stabilimenti balneari tra Castellammare e Vico). Queste operazioni di scavo misero a nudo l’intero “complesso calcareo” svelandone la stratificazione. Quelle uniformi pile di banchi che s’immergono, pendendo a nord-ovest nel mare sono le ultime propaggini settentrionali degli strati superiori delle poderose masse calcaree stratificate. Questa parte centrale e più elevata della penisola di Sorrento, culmina nella cresta di Faito e nella vetta sant’Angelo a tre pizzi.In queste cave, ancora presenti, si nota dalla base alla sommità, per un’altezza di una cinquantina di metri, una pila uniforme di calcari. Da tali banchi proviene la ittiofauna stabiese. Calcari analoghi agli ittioliferi non sono limitati solo al Capo d’Orlando, da qui si innalzano verso sud e vanno a costituire come detto la cresta di Monte Faito, come fu per indicato dallo studioso Boese. Ma già qualche anno prima, nel 1798, Scipione Breislak in “Topografia fisica della Campania” scriveva. “All’ovest di Castel’ a mare nel luogo detto la Torre di Orlando vi è uno schisto calcareo (nda il termine indica una roccia metamorfica caratterizzata da una tessitura tendente a sfaldarsi facilmente in lastre sottili) con impressione di quei piccoli pesci che in Napoli chiamano sbaraglioni – sparus guarracinus”. Nel 1809, con una lettera stampata in latino indirizzata al conte Giuseppe Zurlo, ministro dell’Interno, lo studioso F. Cavolini inviò tre tavole incise in rame nelle quali erano figurati alcuni ittioliti di Capo d’Orlando ( Sparus melanurus, erytrinus, mormyrus) riferiti a specie attuali (occhiata, pagello, mormora).In buona sostanza vennero ritrovati diversi esemplari di fossili, (appare superfluo farne un elenco) di numerosi piccoli esemplari di stemmatodo (Stemmatodus rombus), ovvero di un pesce osseo risalente al Cretaceo Inferiore. Questa specie è caratterizzata da corpo di forma allargata, quasi romboidale, da qui il nome. Tali organismi, di piccole dimensioni (non superano i sei centimetri di lunghezza), qualcuno li ha definiti, per la loro fisionomia, gli antenati degli attuali saraghi. Vennero descritti per la prima volta da Louis Agassiz, in seguito all’esame di parecchi esemplari fornitigli da altri due studiosi come Petland e Torie. Agassiz era uno dei maggiori scienziati statunitensi del suo tempo, pietra miliare fu la monumentale opera “Recherches sur les poissons fossiles” del 1844. Chiamando però questi stemmatodi Pycnodus rhombus. Successivamente fu Heckel nel 1854 ad attribuirli a un genere a sé stante, Stemmatodus appunto. In quegli anni furono molti gli studiosi italiani e stranieri che si appassionarono agli “ittilioliti stabiesi”. Un italiano tra i tanti fu Oronzo Gabriele Costa che ne scrisse in: “Paleontologia del Regno di Napoli”.Lo Stemmatodus rhombus viveva in un ambiente di laguna costiera in un clima tropicale, e probabilmente si nutriva di minuscoli animali e piante acquatiche, che strappava dalle rocce e dai fondali con i denti incisiviformi e poi triturava coi piccoli denti tondeggianti.Fa parte delle differenti specie di pesci fossili trovate in penisola, perfettamente conservate in esposizione al Museo di Paleontologia di Napoli, Genova, Bologna, Pisa, Roma e addirittura al Museo di Storia Naturale di Londra, tra i più importanti al mondo. Questi fossili, meglio conosciuti e valorizzati, potrebbero oggi essere un incentivo per una nuova campagna di scavo che potrebbe portare alla luce qualche altra incredibile scoperta di questo antichissimo ecosistema che nel Cretaceo inferiore (circa 130 milioni di anni fa) fu una barriera corallina tropicale forse simile alle attuali Bahamas. Ne trarrebbe vantaggio il turismo locale, oltre che essere un arricchimento all’ampliamento dell’offerta in ambito naturalistico.